Dai salotti romani al piombo delle cosche reggine

scritto da Alessia Candito - Corriere della Calabria il . Pubblicato in Breakfast, Invisibili e 'ndrangheta stragista

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REGGIO CALABRIA Mafie, settori piduisti della massoneria e dei servizi, uomini della galassia nera. Negli anni Novanta – e forse non solo – facevano tutti parte della stessa squadra e tutti erano uniti dal comune obiettivo di non perdere il potere accumulato in oltre cinquant’anni di democrazia bloccata. Una strategia stragista ed eversiva che anche l’èlite dei clan calabresi ha perseguito. Lo ha ipotizzato il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nell’istruire l’inchiesta ‘Ndrangheta stragista, lo hanno confermato prima il gip, quindi i giudici del Tribunale della Libertà, tutti concordi nell’individuare Giuseppe Graviano e Rocco Filippone come mandanti degli omicidi e dei tentati omicidi dei carabinieri, fra il ’93 e il ’94 serviti ai clan calabresi per confermare la propria presenza “in squadra”. Un gruppo – emerge oggi dal dibattimento e dagli atti depositati in questo ed altri procedimenti – che forse ha continuato a lavorare anche quando le bombe hanno smesso di esplodere e il sangue di scorrere. A suggerirlo è più di un indizio, che dai salotti romani all’ala militare della ‘ndrangheta reggina sembra portare ai medesimi ambienti, dove – magari anche solo per pura coincidenza – servizi, mafie e piduisti tornano a confondersi. È il caso del salotto di Giuseppe Pizza, fratello dell’agente Polifemo.

SALOTTI STRATEGICI I due sono cresciuti a Salerno, ma vantano ben altra origine. La famiglia è di Sant’Eufemia d’Aspromonte, paesino arrampicato sulle pendici dell’Aspromonte reggino, per lungo tempo capitale del feudo di don Rocco Musolino. Morto da incensurato dopo essere scivolato fra le maglie di diverse indagini e solo dopo il decesso raggiunto da una confisca per mafia, don Rocco per più di un pentito non era un quisque de populo. Per il collaboratore Gioacchino Pennino, ex boiardo della Dc siciliana, massone e mafioso, nipote dell’omonimo elemento di spicco dei clan di Brancaccio, «Musolino – ha messo a verbale Pennino – unitamente all’on. Misasi, uomo politico corpulento calabrese, il dott. Donnici, pure lui politico calabrese, ed altri ancora, faceva parte di un comitato d’affari che era pienamente attivo in Calabria e che ricomprendeva ‘ndrangheta, massoneria e politica».

IL COMITATO Al momento, nessuna sentenza conferma il coinvolgimento dei politici, sebbene diverse inchieste li abbiano in passato coinvolti. Tuttavia – e questo è dato storico – per lo zio del collaboratore quel “comitato” era un modello da seguire. E per questo spesso si recava in Calabria, dove «erano più avanti». Del resto, ha dichiarato il pentito, «Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita – ha raccontato Pennino – sono da sempre unite fra loro. Sarebbe meglio dire sono una cosa sola. Da lì mio zio, come mi raccontò, si recava in Calabria dove mi disse che aveva messo insieme massoni, ‘ndrangheta, servizi segreti, politici per fare affari e gestire il potere. Una sorta di comitato d’affari perenne e stabile».

TUTTI A CASA PIZZA Di Giuseppe Pizza o di suoi familiari al momento sembra non ci sia traccia nelle parole del pentito Pennino. Però, diverse decadi dopo gli incontri di quel comitato, i medesimi ambienti che a detta del collaboratore si mischiavano a Santo Stefano d’Aspromonte, sono tornati ad incrociarsi a Roma. A casa del fratello dell’agente Polifemo. Anonimo sottosegretario all’Istruzione di nomina berlusconiana, Giuseppe Pizza è divenuto noto per la lunga battaglia legale che alla fine gli ha concesso in esclusiva l’uso del marchio “Democrazia cristiana”. Una bella eredità che però non pare stia – almeno ufficialmente – sfruttando. Stando alle indagini degli uomini della Dia, che lo hanno monitorato, l’ex sottosegretario da tempo sembra più che altro impegnato a curare il proprio frequentato salotto romano.

LA NUOVA BALENA BIANCA Non è dato sapere se l’agente Polifemo fosse ospite del fratello, ma di certo lì gli investigatori hanno visto più di un personaggio interessante. A casa Pizza si sono fatti vedere spesso politici italiani come Giuseppe Gargano, Alessandro Forlani, figlio di Arnaldo, ma anche piduisti mai pentiti come Emo Danesi, che della Balena Bianca era deputato prima di essere sospeso dal partito perché massone. Ma da quel salotto romano passavano anche personaggi ben più ingombranti come l’imprenditore calabrese Vincenzo Speziali, omonimo nipote dell’ex senatore del Pdl e uomo di fiducia dell’ex presidente della Repubblica libanese Amin Gemayel, anche lui ospite del noto salotto romano.

SOSPETTI Per la Dia dietro quelle “cene eleganti” si nascondevano affari e trattative. Per gli investigatori, quasi tutti gli ospiti di casa Pizza sarebbero stati coinvolti – direttamente o indirettamente – nella rete che ha permesso all’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena di sfuggire ad una condanna definitiva per mafia ed occultare il suo immenso patrimonio. E Matacena, come del resto Dell’Utri prima di lui, non è un personaggio qualunque. Condannato come politico di riferimento della cosca Rosmini, per gli inquirenti l’ex parlamentare è oggi un «soggetto in grado di fornire un determinante e consapevole apporto causale alla ‘ndrangheta reggina, attraverso lo sfruttamento del suo rilevantissimo ruolo politico e imprenditoriale e per questa via agevolare il più ampio sistema criminale, imprenditoriale ed economico, riferibile alla predetta organizzazione di tipo mafioso, a cui favore il Matacena forniva il suo costante contributo».

RAPPORTI ED ENDORSEMENT Non a caso, dicono i pentiti, proprio Matacena sarebbe stato invitato alla riunione di ‘ndrangheta a Polsi durante la quale è stata dettata la linea da tenere alle elezioni degli anni Novanta. E non a caso Paolo Romeo, considerato elemento di vertice della direzione strategica della ‘ndrangheta reggina puntava proprio su Matacena alle elezioni europee. «Parliamoci chiaro – diceva intercettato Romeo a Carlo Colella – se tu puoi costruire su Matacena l’ipotesi di una sua candidatura, parliamoci chiaro, è buona. La cosa perché ...incomprensibile... no?... eppure che esce Matacena parlamentare europeo è già... è già una cosa che si entra, diciamo, i meccani... in finanziamenti... cioè uno può fare l’ira di Dio poi và... qua... con i finanziamenti pubblici, una serie di agganci... le cose perché tu, tieni conto, che poi dopo le europee ci sono le regionali». Ecco perché per gli investigatori la rete che attorno a Matacena si è creata non è neutra. Ed ecco perché – ipotizzano gli investigatori – un salotto romano finisce per avere assonanze con comitati aspromontani. Perché forse la rete attiva negli anni Novanta non si è sciolta quando le bombe hanno smesso di esplodere. E altri indizi potrebbero confermarlo. (2-continua)

 

 

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