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Le grandi pulizie di Gaucci

agosto 2004 - dal sito La Voce della Campania
LE GRANDI PULIZIE DI GAUCCI


Ramazze, calcio & sapone, che passione! Guarda caso, le avventure imprenditoriali di due protagonisti della bollente estate pallonara, il neo padrone della Lazio Claudio Lotito e l’aspirante al trono di Napoli, Luciano Gaucci, cominciano proprio da scope e secchi di candeggina, con svariate imprese di pulizia a popolare i loro arcipelaghi societari. "Le sue società danno lavoro a oltre 5 mila dipendenti", commentano in ambienti economici romani. Lotito, comunque, non si ferma alle scope, ma s’interessa anche di vigilanza (un connubio frequente anche nel napoletano, il business abbinato fra imprese di pulizia e di vigilanza, le più gettonate, fra l’altro, in maxi appalti come quelli ospedalieri) e di edilizia, con le immobiliari Appia e 03. Fa capolino anche una Snam nel suo pedigree, niente a che vedere con l’ex corazzata del parastato: si tratta invece della Società Nazionale Appalti Manutenzione Lazio Sud. L’energia, comunque, corre fra i cromosomi del quarantasettenne patron laziale, visto che il suo nome compare nello staff di vertice della Gasoltermica Laurentina spa, creata nel 1996 con un miliardo e mezzo di carburante in dote, sede in via Appia Antica civico 2. Al timone, in qualità di amministratore delegato, siede Marco Mezzaroma, rampollo di una delle più potenti famiglie romane del mattone: l’era Sensi alla guida della Roma, infatti, iniziò in condominio con i Mezzaroma, i quali poi pensarono bene di rompere quel matrimonio. Ma passiamo alle scope di casa Gaucci. Una piccolo eldorado, il trampolino di lancio per l’imprenditore romano de Roma. Capace, però, di creare a volte seri grattacapi. Così è capitato con La Milanese di Gaucci Luciano, sbocciata anch’essa nel 1996, come impresa individuale e con tutti i rischi che ne derivano. Aveva progetti ambiziosi, al momento della costituzione, e un oggetto sociale non poco ampio: dai lavori edili agli appalti di pulizia, "in particolare - come viene descritto nell’atto costitutivo - gestione pulizie alberghi, rifacimento letti, pulizie di pubblici esercizi, mense e bar, confezionamento e approntamento pasti". E poi, "riparazione, manutenzione materiale rotabile ferroviario e di aziende tranviarie. Disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione". Il non plus ultra, insomma, per partecipare a gare degli enti pubblici, di Asl e quant’altro. Le cose, però, per la Milanese non si sono messe bene. Gli appalti, strano ma vero, stentano a decollare. Dopo nemmeno tre anni cessa l’attività e a marzo 2001 arriva addirittura il fallimento: non solo della società, ma di Gaucci in persona. "E’ il cosiddetto fallimento in proprio - spiegano gli esperti - perché non si trattava di una spa o di una srl, ma di una ditta individuale". Viene subito nominato un curatore fallimentare, Emanuele Mattei. "Con quale credibilità finanziaria - si chiedono parecchi in ambienti economici della capitale - un imprenditore che ha vissuto simili vicissitudini può seriamente puntare ad un grande club, per di più a sua volta con una voragine finanziaria da ripianare?". Nel frattempo, il vulcanico Luciano non era stato certo a guardare. Alle spalle quella brutta storia, via ad una sfilza di altre imprese. Prima di tutte, Siata, ovvero Società immobiliare agricola Torre Alfina, il gioiello di famiglia, una vero e proprio castello nel verde, a 600 metri di altezza e un tiro di schioppo da Orvieto. Nelle ridenti campagne - è naturale - non può mancare uno spazio per il suo hobby preferito, quello dei cavalli, condiviso con l’amico, il big del mercato e direttore generale della Juve Luciano Moggi. E proprio per due cavalli rischiò, anni fa, di essere disarcionato dalla sua sella il presidente del Perugia, ad opera proprio di un magistrato napoletano, Bruno D’Urso, oggi numero uno degli affari penali al tribunale di Nola, a quel tempo membro dell’ufficio inchieste della Federcalcio. "Riuscii a trovare prove certe - ricorda D’Urso - sul tentativo di corruzione di un arbitro a carico di Gaucci. Due cavalli, quella la contropartita. La sanzione fu l’inibizione perfino ad entrare negli spogliatoi della sua squadra. Cosa che regolarmente non rispettava, pagando una multa, se ricordo bene, di dieci milioni di lire a partita". Scansata anche questa seconda vicenda, Gaucci torna di nuovo in sella, più forte e potente di prima. Ed ecco, nel 2000, il parto della Scuderia Tony Bin poi, a luglio 2003, è la volta di Allevamento White Star. Ancora a Roma, vengono a inizio del nuovo millennio costituite altre sigle, sempre nei rami preferiti. Come quello, naturalmente di scope & ramazze: alla Romana Pulizie, messa in piedi nel 1997, fanno da ancelle la GAP , Grandi Appalti Pulizie, creata a giugno 2002, seguita a ruota - neanche un mese dopo - da Fulgida 2000, e in rapida successione, a settembre dello stesso anno, da World Wash, tanto per darsi un tocco di globalizzazione. Non è certo finita, perché altri tasselli vanno a completare il mosaico di casa Gaucci. A partire dal consorzio IGS, Impresa General Service, per passare a Intersistemi, quindi alla misteriosa The Clonmell Stud, poi G2, sbocciata solo qualche mese fa. Ma l’ubiquo Gaucci è anche amministratore unico di un’altra creatura che non ha ancora due anni di vita, l’immobiliare romana Arizona. Senza contare, poi, il variegato arcipelago di imprese che fanno capo a uomini di provata fiducia. Come Fabrizio Bevilacqua, il quale fa capolino, sia nelle vesti di azionista che in quelle di amministratore, in una marea di sigle (Italiana Gestioni, Befin, Netcorp, Immobiliare Saba, Filmworld, Telemondo uno, Axian, Casamatta, tutte società a responsabilità limitata). Oppure di Mario Bianchi, promotore della Spiga srl, oltre che partner in Fulgida, G2 e World Wash. O, ancora, di Carlo Lancella, a sua volta presente in una sfilza di sigle: oltre a quelle in gemellaggio con il patron Luciano (Romana Pulizie e lo stesso Perugia Calcio), in altre dagli interessi più svariati: Casav Consulenza assistenza avanzata, Co.ge.pa., Prime Hotels, The Big River, Suerte film, International Credit Service, tanto per cambiare tutte, regolarmente srl. E finiamo il giro proprio col Perugia. Cinque miliardi di capitale azionario, suddiviso fra una pletora di piccolissimi azionisti ma sostanzialmente in mano a una misteriosa società estera, riconducibile con ogni probabilità ai Gaucci, la Kilpeck Overseas Corporation, la quale - da sola - detiene 497.680 azioni. Il resto, gli spiccioli, sono frazionati fra una serie di società o persone, tra cui i due figli del patron, il rampante trentunenne Alessandro e Paolo, di un anno più grande; nonché il fratello Antonio. Il 99 per cento delle azioni del Perugia, comunque, è sostanzialmente appannaggio di Capitalia (vedi box), l’ex Banca di Roma che controlla, in un nodo o nell’altro, parecchie squadre di A (Roma, Lazio, Parma): il pacchetto dei Gaucci, infatti, da mesi é in pegno presso l’istituto guidato da Cesare Geronzi. Del resto, anche le azioni di un’altra sigla al cui timone siede Alessandro Gaucci, factotum al Perugia, sono “sottoposte a pegno”: quelle dell’ennesima srl della Gaucci story, Galex, capitale sociale da 101 mila euro. LE due CORDATE Una volta, tanti anni fa, inizio novanta, erano nemici per la pelle. Antonio Bassolino puntava con decisione l’indice contro il ‘pomicinismo’, il suo alter ego politico Isaia Sales dettagliava in modo impietoso le spericolate amicizie & imprese di ‘o ministro. Poi Geronimo pensò bene di raccontare la sua ‘verità’ nel volume Strettamente riservato edito da Mondadori. E descrisse, proprio in apertura, il gentile ‘regalo’ da 100 milioni di vecchie lire elargito alla federazione del Pci, allora governata dal commissario Bassolino, burocrate di Botteghe Oscure inviato a Napoli per mettere un po’ d’ordine fra quadri & conti. Nel libro l’ex ministro del Bilancio descrive nei dettagli l’operazione: a fornire i cento milioni liquidi era stato l’amico granaio Franco Ambrosio, che li aveva fatti pervenire a un intermediario, l’avvocato Oreste Cardillo, il quale aveva poi provveduto a consegnarli nelle case della federazione pci, in via dei Fiorentini. "Tutto bene Antò"”, così colorisce Pomicino raccontando un suo incontro fra le aule del transatlantico con l’attuale Governatore della Campania. Nessuna notizia su eventuali querele di Bassolino (chi si é lamentato é stato, piuttosto, il gip di Napoli Marco Occhiofino, accusato nel libro di non avere indagato su quel finanziamento: dopo la denuncia in sede civile di qualche anno fa, nelle scorse settimane Occhiofino ha ottenuto la condanna in primo grado di ‘o ministro per diffamazione). Fatto sta che i ‘duellanti’, a una dozzina d’anni di distanza, si ritrovano impegnati sullo stesso versante: il ‘quasi impossibile’ salvataggio del Napoli. Con una serie di personaggi in pista che potrebbero finire con l’incrociarsi. Da un lato la cordata Pomicino-Gaucci, dall’altro quella - molto più variegata - messa in campo da Bassolino e i suoi uomini, Cozzolino e Oddati in testa. Partiamo dalla prima. Raccontano nell’entourage del presidente perugino: "si sono incontrati una mattina ai primi di giugno in un ristorante di via Sardegna, a Roma, Pomicino del resto ha un ufficio da quelle parti". L’ufficio di ‘o ministro, in realtà, si trova a un passo, in via Sicilia, nei tempi d’oro condiviso con Lorenzo Necci (legato a Francesco Pacini Battaglia, l’uomo a un passo da Dio condannato in questi giorni a tre anni proprio per gli strani rapporti con l’ex capo delle ferrovie) e Publio Fiori, l’ex dc poi traghettato sulle sponde di An, già sottosegretario ai trasporti. "Un incontro del tutto casuale", ha puntualizzato poi Pomicino. Il quale deve la sua fortuna proprio al caso: ‘per caso’, infatti, una ventina d’anni la sua ex moglie, Wanda Mandarini, trovò sulle colonne del Mattino l’annuncio per la vendita di un appartamento in via Petrarca, proprietari i fratelli Sorrentino da Torre del Greco, e prima ancora del finanziere d’assalto Ninì Grappone, cui era passato dalla famiglia Gava. "Non sapevo chi fossero", pigolò Pomicino a proposito dei ‘venditori’ torresi, inquisiti per riciclaggio prima per conto dei cutoliani, poi della Nuova Famiglia. In seguito venne alla luce un carteggio riservato che rivelava la conoscenza di lunga data fra l’ex ministro e i Sorrentino. Torniamo al tandem Gaucci-Pomicino. Incontrati per caso, eppure con ‘precedenti’ politici tutti di chiara matrice andreottiana: il cardinale Angelini, l’ex re delle acque minerali Ciarrapico, per una breve stagione al vertice della Roma Calcio. Gaucci, poi, fa la sua fortuna con le imprese di pulizia, una settore molto caro all’entourage pomiciniano e scottiano, a partire delle ‘relazioni pericolose’ intessute dall’ex assessore Aldo Boffa - trait d’union fra i due ex pezzi da novanta dell’ex Balena bianca - con il tandem Agizza-Romano, capace di controllare, per tutti gli anni ottanta, sia il settore delle imprese di pulizia che quello, ancora più strategico, del calcestruzzo, a bordo della corazzata Bitum Beton. "Gaucci deve la sua fortuna a Capitalia, che gli ha erogato valanghe di fidi", commentano in ambienti economici della capitale. Un istituto, quello guidato da Cesare Geronzi, da sempre di marcate simpatie andreottiane. Mentre la figlia, Chiara Geronzi, volto noto di Canale 5, è fra i protagonisti della corazzata Gea World, guidata con piglio sicuro da Alessandro Moggi, rampante rampollo del direttore generale della Juve Luciano, di recente tirato in ballo dal general manager del Venezia Franco Dal Cin per lo scandalo delle combine arbitrali, su cui da mesi indagano i pm della procura di Napoli. Ed è proprio per i continui rapporti con Capitalia che lo stesso Perugia, avamposto dei Gaucci, è praticamente una succursale della banca, con un 99 e passa per cento di azioni in pegno nelle casse dell’istituto di via Minghetti. "Le liquidità di Gaucci - commentano ancora su piazza romana - sono solo virtuali, conta sulle banche e su solide amicizie. Soprattutto politiche". E’ un caso, allora, che il pm della procura di Napoli Vincenzo Piscitelli abbia sentito puzza di bruciato circa la affidabilità finanziaria del gruppo Gaucci? E che cerchi di far luce sulle garanzie che può fornire una sigla del gruppo? Nei palazzi capitolini della Confindustria circola da qualche giorno con insistenza una voce: "Gaucci è stato spinto a fare il salto più in lungo della gamba. Da qualcuno, un politico, che può contare su una ingente liquidità da investire". A questo punto, il patron del Perugia sarebbe solo il volto ‘pallonaro’ per una maxi operazione di ‘investimento’. Economico e, soprattutto, politico. ANTO’, CHE TE SERVE? Passiamo al secondo fronte di salvataggio del Napoli, quello per così dire ‘ulivista’ guidato da Bassolino. Che ha deciso di giocare la partita. Prima provando con la fanteria. Quindi, in caso di bisogno, buttando in campo gli assi. Si parte dalla ‘cordatina’, i fantomatici quattro, poi sei, poi otto imprenditori che, sotto la regia di Nicola Oddati, avrebbero deciso di correre al capezzale del Napoli calcio. Investendo sei milioni di euro, assicura l’assessore. Mentre Naldi parla di un paio di assegni di importo molto inferiore. Battaglie di cifre, di conti, di persone. Entra in scena perfino Andrea Cozzolino, storico braccio destro di Bassolino: fra i possibili acquirenti, infatti, fa capolino le fresca consorte – mitico il matrimonio caprese durato due notti in piazzetta – Anna Normale. La quale, risentita, smentisce: "non sono mai stata interessata a entrare nel Napoli". La famiglia, comunque, può contare su grosse liquidità: i Normale, infatti, sono tra i big dell’edilizia a Napoli, zona Vomero, Arenella (con la perla dello scheletro ini cemento all’uscita Tangenziale in piedi da una dozzina d’anni e mai demolito), Colli Aminei, San Rocco. Per il resto, la cordata del governatore é popolata da una serie di “signor nessuno”. Desta subito curiosità, comunque, il capo cordata, Francesco Floro Flores. "O’ pate d’ ‘o calciatore?", si chiede subito qualcuno. "No, il presidente del Capri calcio", chiariscono negli ambienti pallonai, dove fanno sapere del suo sogno di creare una seconda squadra a Napoli, parto di pezzi di vecchie, piccole glorie dei campionati minori. Qualcuno, però, va giù duro. E’ proprio Toto Naldi, che si fa uscire dai denti: "é solo un prestanome, Floro Flores". Di chi? E lui risponde: "Del gruppo Romeo". Flores, ovviamente smentisce. Della smentita del gruppo Romeo, a quanto pare, non vi è notizia fra le bollenti cronache estive. Ecco il primo asso di Bassolino. Alfredo Romeo, cinquantenne, titolare di un gruppo immobiliare che da Napoli si è ramificato in tutta Italia, da Roma a Venezia, a Milano, con le prime giunte Bassolino riuscì ad aggiudicarsi la gestione del patrimonio edilizio controllato dal comune. Il suo piccolo impero, comunque, risale agli anni ottanta, quando ad ‘attenzionarlo’ c’era anche mister centomila, Alfredo Vito, uno dei primi pentiti di tangentopoli, 5 miliardi restituiti e investiti nel ‘parco Mazzetta’ dell’area orientale. Una "vera e propria cavalletta", Vito, secondo Romeo, una cavalletta che davanti ai giudici aveva giurato di non voler rientrare a nessun costo in politica. Ora regolarmente in Parlamento, addirittura membro della commissione Telekom Serbia. Storicamente vicino al Pci, poi al Pds quindi ai diessini e ai bassoliniani, Romeo potrebbe essere l’asso nella manica. Con un rischio: la sovraesposizione. Rischio che corre meno un altro bassoliniano di ferro, il costruttore veneto Luigi Zunino, legato a doppio filo ad Alfio Marchini. Insieme, i due mattonari - auspice Massimo D’Alema - hanno portato a segno la maxi operazione del Risanamento, riuscendo magicamente a rilevare un patrimonio immobiliare da 5 mila miliardi di vecchie lire… praticamente senza sborsare un quattrino. Solo fornendo in garanzia gli stessi immobili. Per la serie, la fontana di Trevi, Totò, Nino Taranto e l’acquirente americano, il mitico Ugo D’Alessio. Da un mattone romano all’altro, sempre più in alto, eccoci ai Caltagirone. I quali, per una vita andreottiani (‘a Frà che te serve’ rivolto da uno dei fratelli al braccio destro del divo Giulio, Franco Evangelisti) ora si riscoprono filobassoliani. Questione di feeling, e di mattoni. Prima i destini della Napoli orientale, gravitanti intorno al centro direzionale, poi quelli di Napoli ovest, epicentro Bagnoli, fanno dei Caltagirone l’interlocutore primo del governatore della Campania, nonché del sindaco Iervolino. Proprietari del Messaggero e del Mattino, i Caltagirone hanno molto a cuore il destino di Napoli. E, perché no, del Napoli calcio. L’ultimo ma decisivo approdo Bassolino potrebbe trovarlo lungo le vie del mare. Dove conterebbe su un altro imprenditore che ha grossi interessi nel porto di Napoli. Si tratta di Gianluigi Aponte. Poco più di sessant’anni, sposato, con figli, sorrentino con residenza a Ginevra, Aponte ha creato nel 1970 una compagnia di navigazione che oggi è tra le prime al mondo. E’ specializzata nel trasporto merci: con 250 navi, un fatturato di 4,5 miliardi di dollari e 23 mila addetti, di cui 10 mila italiani, la Mediterranean Shipping Company, è un colosso per forza e quote di mercato ma è un’azienda familiare per conduzione e stile. Il gruppo, infatti, è interamente strutturato sui parenti: con Gianluigi Aponte lavorano la moglie Rafaela, la figlia Alexa e il genero Pier Francesco Vago. Aponte ha grossi interessi anche nella compagnia orientale Cosco, leader nel trasporto marittimo con container. E con la Cosco ha guidato una operazione nel porto di Napoli, l’allungamento del molo Bausan, affidato in concessione alla società Conateco, di cui Aponte è socio al 50 per cento. Un’opera da otto milioni di euro che farà aumentare il traffico merci nel porto di Napoli e darà agli affari di Aponte un ruolo guida nei porti del Mediterraneo, visto il livello di fatturato che l’armatore sorrentino realizza nello scalo di Palermo. Ad Aponte é poi legatissimo Nicola Coccia, dirigente del ramo crociere della compagnia di Aponte e presidente della Tin, una società che fa capo all’Interporto campano di cui è proprietario Gianni Punzo, ex vicepresidente del Napoli e interessato alla scalata alla nuova società. Coccia sarebbe l’elemento di unione tra Bassolino e Aponte e su di lui ruoterebbe l’operazione di recupero e rilancio del Napoli dalla C1, dopo il fallimento Naldi. Per il momento, il piano rimane coperto, in attesa degli sviluppi della vicenda Gaucci. Ma se dovesse tramontare questa opzione, la carta di Bassolino farebbe centro: cancellerebbe Naldi, azzererebbe Pomicino e rilancerebbe il Napoli sul modello Fiorentina, anche se si dovrà ripartire dalla C. ANDREA CINQUEGRANI ANTONIO MENNA I NIPOTINI DI GIULIO Popolarità vuol dire porte che si aprono, politica che si mobilita, affari che si moltiplicano. Luciano Gaucci la regola l’ha imparata nientemeno che da Giulio Andreotti, a cui è legato da un’amicizia lunghissima. Non a caso a Napoli è stato traghettato da Paolo Cirino Pomicino, che ha bussato a tutte le porte per dare una mano a Gaucci: da quella ormai classica dell’imprenditore Franco Ambrosio (che potrebbe essere un futuro socio del Napoli) a quelle di Franco Carraro e Adriano Galliani, via Gianni Letta. Forte della comune esperienza ministeriale (Carraro era ministro del Turismo nel governo Goria, alla fine degli anni Ottanta, quando Pomicino era responsabile del Bilancio), Pomicino ha sperato nell’aiuto del presidente della Federcalcio, che però non ha dato il suo contributo. Per Gaucci, insomma, il calcio e la politica sono sempre andati a braccetto. Negli anni ‘80 è vicepresidente della Roma, possiede il 13 per cento delle azioni e ha un legame di ferro con i democristiani della capitale. Innanzitutto con “zio Giulio” e poi, immancabile, con il cardinale Angelini. A un certo punto Andreotti gli consiglia di comprare la Lazio : così si possono controllare, in un colpo solo, le due squadre della capitale. Gaucci ci pensa e poi rifiuta: "presidente, come faccio, i romanisti non capirebbero", gli disse. Ma poi si pentì. "Aveva ragione lui, io ero ancora ingenuo". Successivamente Andreotti prescelse Giuseppe Ciarrapico. E Gaucci fece le valigie ed “emigrò” a Perugia, dove comprò la squadra di calcio ma fece fiorire anche i suoi affari. L’impresa di pulizie che aveva messo su dopo aver lasciato il posto di autista dell’Atac e il mestiere di oste, era arrivata a 3mila dipendenti e Gaucci aveva cominciato a comprare e vendere scuderie di cavalli. Tra animali e pulizie, calcio e prime pagine di giornali, Gaucci cominciò a collezionare squadre e interviste. Comprò la Sambenedettese , poi la Viterbese , poi il Catania. Oggi sbarca a Napoli, via Pomicino.

 

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