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"Sì, i lanzichenecchi ci piacciono"

17.06.2005 - Diario
"Sì, i lanzichenecchi ci piacciono"

"Diario" ha posto un problema: i rapporti tra la composita compagnia degli scalatori e la "finanza rossa". Sono arrivate smentite. Ma anche una conferma: gli outsider non sono peggio degli altri. Ricucci "non ha la rogna". Intanto giungono nuove informazioni sullo scalatore del "Corriere". E Berlusconi...



Compagno Ricucci?
Nel numero scorso, "Diario"
ha allineato gli indizi sul campo,
nel tentativo di comprendere
la scalata Rcs, un giallo con troppi indiziati. Nell’ultima settimana, sono arrivati commenti, smentite, conferme, arricchimenti, nuove scoperte... Ma, come nei gialli,
è capitato che alcuni indiziati, sentendosi gli occhi addosso, abbiano fatto un passo falso: hanno dichiarato di amare
gli outsider, i lanzichenecchi,
la rude razza romana. Intanto
si rafforza un’altra pista indicata da "Diario", quella che fa capo
a un ricco imprenditore italiano,
forte anche in politica, con fedeli alleati Oltralpe.



Nei gialli capita che gli indiziati, sentendosi gli occhi addosso, facciano un passo falso. Chissà se è quello che è successo a proposito del grande assalto alla finanza italiana raccontato nel numero scorso da Diario. Volevamo capire e illustrare i movimenti in corso su Rcs, Bnl, Antonveneta, Mediobanca, Fiat, Generali... Poiché sono movimenti in gran parte sotterranei, per niente trasparenti, con soldi che non si sa da dove vengono e protagonisti che non mostrano il loro volto, Diario ha scelto di allineare indizi. Ha raccontato diverse piste, tra cui la "pista Berlusconi" e la "pista rossa" (in copertina si leggeva: "Compagno Ricucci").

La reazione di Massimo D’Alema e degli uomini a lui vicini è stata inaspettata. Ci si poteva immaginare una secca smentita, accompagnata da un elogio della trasparenza e del mercato. La prima c’è stata, il secondo no. Anzi. "Non conosco nessuno di quei personaggi che si citano. Io questo Ricucci non so neanche chi sia", dichiara D’Alema il 10 giugno 2005 all’Unità. C’è da credergli. Ma poi aggiunge: "Certe campagne si concludono perché, immagino, si vogliono tutelare degli interessi specifici, di persone che ritengono che i loro interessi personali sono una nobile battaglia in difesa degli interessi del mercato, mentre gli interessi degli altri sono un ignobile complotto dietro cui si cela un qualche Belzebù". Dunque gli assalti finanziari in atto sono invece, per D’Alema, un corretto scontro di mercato a cui assistere con distacco, tanto una parte vale l’altra, e vinca il migliore.

Claudio Velardi, che fu il braccio destro di D’Alema a Palazzo Chigi (anche se oggi, civettando un po’, si definisce un "disilluso del dalemismo"), parla ancora più chiaro. L’11 giugno sul Corriere della sera ammette che sì, D’Alema quando era presidente del Consiglio avrebbe fatto meglio a stare zitto, a non dire in pubblico ciò che pensava dei protagonisti dell’opa su Telecom ("Avrebbe dovuto risparmiarsi quella frase sui capitani coraggiosi"). Ma poi gli scappa che cosa pensa, oggi, dei nuovi capitani coraggiosi, della rude razza romana degli immobiliaristi d’assalto: "Effettivamente Caltagirone è un grande imprenditore. Ma Ricucci cos’ha, la rogna?".

Ce ne vorrebbero di più.
Il giornale di cui Velardi è editore, il Riformista, è più esplicito e afferma (nell’editoriale del 7 giugno) che "gli outsider, i lanzichenecchi, gli immobiliaristi, i redditieri" non sono un problema per il capitalismo italiano. Anzi, ce ne vorrebbero di più. "Il problema italiano è proprio quello di una certa carestia di outsider; sì, proprio di gente che viene dal nulla e si fa da sola, e mentre si fa da sola produce sviluppo, pil e benessere". Come Michele Sindona? Come Roberto Calvi? Come Giancarlo Parretti e tanti altri outsider della finanza italiana (i fratelli Canavesio, Florio Fiorini, Orazio Bagnasco, Paolo Federici, Vincenzo Cultrera, Luciano Sgarlata, Gianmario Borsano, Giorgio Mendella, Virgilio De Giovanni e tanti altri il cui elenco completo riempirebbe pagine e pagine)?

Pierluigi Bersani, ministro di D’Alema all’epoca della scalata Telecom da parte della "rude razza padana" (riunita attorno al finanziere bresciano Chicco Gnutti), ha dichiarato che è un "ragionamento preistorico" affermare di vedere lo zampino della "finanza rossa" dietro le operazioni in corso, solo perché "fra i player c’è una cooperativa": perché è una cooperativa che "agisce sul mercato nel modo che ritiene più appropriato, senza chiedere il permesso a nessuno". Bene. Benissimo. Ma allora come mai i banchieri "rossi" o considerati "dalemiani" (Giovanni Consorte, Vincenzo De Bustis) agiscono liberamente sul mercato, mentre invece chi li critica è certamente eterodiretto, parte di un complotto?

"E che dubbio c’è? Non siamo mica nati ieri", ha dichiarato infatti D’Alema. "Conosciamo i salotti e le persone che contribuiscono a tutto questo". Non si fanno nomi, ma si può ipotizzare che il complotto sia stato architettato sull’asse Montezemolo-Della Valle-Rutelli. O forse i salotti evocati sono quelli di Giuliano Amato e Franco Bassanini? Il tutto con la compiacenza, evidentemente, del Corriere della sera, forse del Sole 24 ore e, buon ultimo, di Diario. Ma questo tracciar complotti non è un "ragionamento preistorico"?

Allora forse è meglio lasciarli stare, i complotti, da una parte e dall’altra. E ragionare serenamente sul solo materiale che abbiamo a disposizione, per ora: gli indizi, i rapporti, le alleanze.

1. È vero che nelle diverse partite in corso c’è, schierato a geometria variabile, un composito gruppo che riunisce soggetti diversi. Banchieri di provincia che stanno tentando l’estremo azzardo, la mano di poker da cui dipende la loro vita o la loro morte. Finanzieri della "rude razza padana", anch’essi un po’ in affanno dopo il colpo grosso della scalata Telecom che non ha avuto repliche. Oscuri immobilieri della "rude razza romana" di cui si conosce più la vita privata che il curriculum professionale. Insomma, tanto per non far nomi, Gianpiero Fiorani della Popolare di Lodi, Chicco Gnutti con la sua Hopa e Stefano Ricucci, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto e compagnia mattona...). Il tutto, sotto l’incredibile ala di colui che dovrebbe essere l’arbitro della partita, e invece fa il giocatore e il padrino: il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio.

2. È vero che una parte di questi player sono variamente legati alla cosiddetta finanza rossa. Sarà anche "preistorico" dirlo, ma così è. Tanto che dentro alla finanza rossa medesima si sta oggi combattendo una guerra silenziosa in cui alcuni (per esempio Pierluigi Fabrizi del Monte dei Paschi, o Turiddo Campaini di Unicoop) stanno differenziando i loro comportamenti e non stravedono certo per le avventure finanziarie del boss di Unipol Giovanni Consorte. E tanto che perfino la stessa Unipol sta lentamente cambiando la sua architettura di controllo e il suo sistema delle alleanze: meno scatole cinesi e partecipazioni incrociate, più separazione dai capitali di Chicco Gnutti.

3. È vero, infine, che questa "finanza rossa" – come dimostrato dalle dichiarazioni di questi giorni – ama i lanzichenecchi, subisce il fascino degli animal spirits della nuova razza mattona.

Non è in questione soltanto l’indicazione del puparo di Ricucci (Se c’è. E se Ricucci, spalleggiato dai suoi amici lodigiani e bresciani, non gioca in proprio, con l’aiuto di uno stratega vero, magari made in Lodi, e con la speranza di vendere, al momento buono, al miglior offerente). Ma si potrà pur ragionare sulle frequentazioni, le alleanze, i metodi e le subalternità culturali di una parte della sinistra?

D’accordo, nessuno crede alla favola del vecchio Capitalismo Sano, delle Grandi Famiglie, dei Salotti Buoni. Non è però un buon motivo per buttarsi nelle braccia dei nuovi avventurieri. Non viviamo in Svezia, da noi in genere gli outsider si sono fatti spazio con i soldi – non è trendy dirlo, ma è così – della mafia. E anche senza andare tanto in basso, gli attuali protagonisti (almeno quelli che si vedono, per gli altri chissà) sono oggi sotto indagine per una fila di comportamenti contro il mercato che farebbe impallidire qualunque finanziere di un normale Paese d’Europa o d’America: aggiotaggio, insider trading, finanziamenti a rischio concessi agli amici e agli amici degli amici, false comunicazioni al mercato e alle autorità di vigilanza, creazione di un patto di sindacato occulto... È questo il modello che piace tanto?

Un vecchio leader del Pci siciliano, Michelangelo Russo, mentre attorno a lui crescevano gli affari di Cosa nostra e chi si opponeva veniva ammazzato, diceva che "non si può fare le analisi del sangue alle imprese". Più recentemente, un altro leader comunista, Emanuele Macaluso, spiegava che non c’è motivo di stupirsi se uomini come Giulio Andreotti o Silvio Berlusconi hanno avuto rapporti o hanno fatto affari con la mafia. E chi si stupisce, ormai, se il Teatro Lirico a Milano sarà gestito dal senatore Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno a Cosa nostra?

Bruno Tabacci, uomo che di politica e finanza se ne intende, ribadisce a Diario che "la politica non conta più un piffero". Che ormai non crede alla politica che guida la finanza: semmai è il contrario. Appunto: non è che sta succedendo questo anche a sinistra?

Attenzione, però: anche chi, dall’altra (?) parte, lancia lodi ad altri soggetti in campo, non fa certo un bel servizio alla politica. Così Francesco Rutelli, quando dichiara al Corriere, il 10 giugno, che "Francesco Gaetano Caltagirone è un imprenditore. Anzi, un grande imprenditore", cancella in un attimo tutte le cose belle declamate fino a quel momnento. Nulla contro il Calta, per carità, ma "la politica dovrebbe preoccuparsi solo delle regole e della trasparenza", commenta Tabacci. Che poi aggiunge: "Qui non abbiamo più arbitri, solo tifosi. E penso anche al governatore di Bankitalia".

Intanto, nell’ultima settimana, agli indizi allineati da Diario se ne sono aggiunti altri. Che però peggiorano la situazione. Per esempio: Ricucci sarebbe meno ricco e meno pulito di quello che vuol far credere. E accanto al suo gioco piccolo si è ormai avviato il gioco grande della finanza internazionale, con la discesa in campo, per la conquista di Mediobanca e Generali, di finanzieri come Tarak ben Ammar, grande alleato e amico di Silvio Berlusconi. Ecco dove porta il gioco degli apprendisti stregoni, commenta un finanziere milanese. Evocano forze più grandi di loro e finiranno per esserne stritolati. A meno che il nuovo arrivato, alla fine, non si ricordi, grato, di loro.

Pista siciliana.
Ricucci? "Panna montata", ha dichiarato Carlo De Benedetti a Venezia, in margine a un convegno della Fondazione Cini. Un vero "maestro del bluff", secondo Claudio Gatti del Sole 24 ore. Dichiarazione dei redditi 1995 (a 32 anni, mica a 18): 5 milioni di lire. Poco, per un grande immobiliarista già in affari. Anche oggi, conti alla mano, il patrimonio di oltre 2 miliardi di euro si smagrisce parecchio, malgrado le repliche di Ricucci. Le valutazioni degli immobili risultano gonfiate. Le acquisizioni sono spesso complicate operazioni ricche di contratti di leasing e d’interventi bancari, ma povere di soldi veri. Le banche sono la vera bacchetta magica di Gastone, come lo chiama la promessa sposa Anna Falchi. Ma non tutte le banche: alcune, come Credito italiano e Cariplo, lo depennano dall’elenco dei clienti perché non si fidano di lui; altre, come la Banca agricola mantovana e poi la Popolare di Lodi, invece lo gonfiano di soldi e stanno dietro alle sue operazioni.

Quanto alla fedina penale, non è brillante. Quella che Ricucci ha inviato al Sole 24 ore è candida come la neve, ma è quella per usi amministrativi. Quella per usi di giustizia, invece, scovata da Claudio Gatti, racconta di due pazienti che denunciarono l’odontotecnico Ricucci per truffa (nel 1986) e per esercizio abusivo della professione dentistica (nel 1988). Sostenendo che, dopo essersi presentato come dentista, aveva sbagliato intervento: una sua iniezione aveva provocato una "semi-paresi dell’occhio sinistro, della guancia e del collo". Storie vecchie, cancellate dall’amnistia del 1989. Più imbarazzante una vicenda del 2002: Ricucci è stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale. Processo, patteggiamento per quattro mesi di detenzione, pena sospesa.

Ma le storie più preoccupanti vengono dalla Sicilia. Uno degli uomini di fiducia di Ricucci è Guglielmo Fransoni, avvocato quarantenne: è il tributarista che presenta la sua faccia quando c’è da trattare con le banche. Fransoni opera a Roma; insegna Diritto tributario all’università di Foggia, in Puglia; è nato a Vibo Valentia, in Calabria. Però gli affari lo portano spesso a Messina. Tanto che nel 1997, scrivono Peter Gomez e Vittorio Malagutti sull’Espresso, nella città siciliana Fransoni è stato denunciato per riciclaggio. Colpa di alcune società domiciliate nel suo studio, tra cui la Telecom Sicilia spa, e di un suo cliente, Giuseppe Cuminale, che nel 2003 stava per essere arrestato dalla procura antimafia. La Cassazione bloccò il provvedimento, ma confermò la gravità degli indizi raccolti. Il metodo era ottenere sostanziosi appalti da Telecom Italia per la posa di cavi, far fallire le società che avevano ottenuto gli appalti, far sparire i soldi degli appalti (con un vorticoso giro di denaro e opere d’arte) grazie all’aiuto di uomini di Messina e di Barcellona Pozzo di Gotto considerati dagli investigatori legati a Cosa nostra.

Oggi Fransoni si occupa di tutt’altro. È nel consiglio d’amministrazione di Magiste International, la holding di Ricucci domiciliata in Lussemburgo. Ed è stato fermato al valico di Chiasso, il 21 febbraio scorso, dal Nucleo valutario della Guardia di finanza: nella Mercedes su cui viaggiava in compagnia di un altro uomo di Ricucci, Luigi Gargiulo, c’erano preziosi documenti finanziari su società offshore e operazioni riservate. Stavano prendendo la strada dell’estero e invece ora sono al vaglio dei magistrati di Milano Giulia Perrotti ed Eugenio Fusco.

Assalto alla cassaforte.
La faccenda intanto si è estesa. Dopo la scalata Rcs, si sono palesati movimenti su Mediobanca e Generali. È davvero iniziato il grande assalto al cuore del (debole) capitalismo italiano che Diario ha ipotizzato nel numero scorso. Ma se gli eventuali protagonisti dietro Ricucci e i suoi amici sono invisibili nel blitz sul Corriere, quelli che stanno comprando titoli Mediobanca e Generali sono imprendibili. "Non capiamo che cosa sta succedendo", confessa un grande banchiere del Nord. "Non vedo una strategia, da nessuna parte. Forse ci sono solo movimenti opportunisti, nel senso che uno o più soggetti si stanno muovendo cogliendo le opportunità che si presentano, senza un vero piano".

Ha smentito con decisione di essere dietro a qualunque operazione su Mediobanca e Generali Vincent Bollorè, socio francese della banca d’affari che fu guidata da Enrico Cuccia. "Io non vedo nessun attacco", ha dichiarato anche l’altro grande sospettato, Tarak ben Ammar. Il finanziere franco-tunisino è al centro di una complessa rete di rapporti che tiene insieme George Bush e i capitali arabi, Rupert Murdoch e Silvio Berlusconi.

Fu Tarak, la sera del 24 novembre 1995, che tirò fuori dai guai l’amico Silvio. Con un’intervista al Tg5 di Enrico Mentana in cui dichiarò che i 15 miliardi di lire versati su conti esteri da Berlusconi erano pagamenti di diritti televisivi all’estero. Era una balla: risulterà che erano la più grande tangente mai pagata in Italia a un singolo uomo politico, Bettino Craxi. Si può credere a quest’uomo? o


Per la laurea, paga a Hong Kong


Stefano Ricucci potrà appendere al muro i certificati che attestano la conquista dei titoli di "Bachelor" e "Doctor" in Economia (7.640 euro investiti, per un totale di 36 esami e due tesi finali). La sua signora non è da meno: Anna Falchi si è laureata su Pasolini grazie a un corso da "Doctor Degree" (costo variabile fra i 10 e i 13 mila euro) e pare che ora miri a specializzarsi in Storia del cinema. Lo sfizio di avere un "Dott." sul biglietto da visita, entrambi se lo sono tolti grazie alla Clayton University, università con base a Hong Kong che sul suo sito si definisce "il padre dell’apprendimento a distanza". Nata nel 1972, oggi la Clayton si vanta di avere studenti in ogni parte del mondo. Chi clicca per compilare i formulari d’iscrizione (tutto online) può parlare giapponese, italiano, francese o urdu.

Gli esami sono scritti, ma da spedire per posta. Gli iscritti devono studiare con un tutor scelto da loro, ma la cui esistenza non viene mai verificata dall’università (Anna dice di aver studiato con la sua tutor tre volte a settimana). Oltre ai corsi canonici in Business administration o Scienze sociali, alla Clayton si può studiare Psicofisiologia, Fitoterapia ed Erbologia, o Pianificazione ambientale. I titoli rilasciati non sono riconosciuti in Italia e nemmeno negli Stati Uniti, quasi tutto si svolge online e gli accrediti delle rette finiscono sulla Hong Kong and Shanghai Banking Corporation di Hong Kong, banca nota per essere stata assolutamente impenetrabile alle rogatorie italiane durante le indagini di Tangentopoli. Se nonostante tutto questo non siete ancora perplessi, l’indirizzo per voi rimane www.culhk.com.

 

Tags: banche, scalate, furbetti

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