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Quello che Adriana Musella non dice

Si agita, ma solo nell’ovattato mondo di Facebook, Adriana Musella, coordinatrice nazionale di Riferimenti. Nell’agitarsi mistifica, aggredisce, minaccia, insomma si fa prendere la mano. Meglio farebbe a tacere, evitando così…

Si agita, ma solo nell’ovattato mondo di Facebook, Adriana Musella, coordinatrice nazionale di Riferimenti. Nell’agitarsi mistifica, aggredisce, minaccia, insomma si fa prendere la mano. Meglio farebbe a tacere, evitando così di provocare inevitabili chiarimenti e imbarazzanti aggiornamenti. Da più di un anno, attendiamo ancora, infatti, la sua annunciata operazione trasparenza, la conferenza stampa convocata e poi aggiornata a data da destinarsi, i suoi documenti a chiarimento, le memorie difensive.
Invece arrivano insulti, nuove menzogne, larvate minacce… anche ai magistrati.
La indomabile paladina dell’antimafia si spinge fino a ritrovarsi sulle posizioni degli alfieri di crociate contro il “giustizialismo”. Eccola infatti postare e commentare: «…Il problema è che i vari show e clamori mediatici condannano le persone prima del tempo e rovinano esseri umani… La verità, però, la fanno i processi…Troppo comodo davvero sentenziare sulla pelle della gente… Il giustizialismo ha fatto dell’avviso di garanzia e del rinvio a giudizio una mannaia… poi i processi rivelano altro… Questo è il Paese in cui gli omicidi, compresi quelli morali… restano impuniti». 
Si agita, appunto, la signora Musella, e si agita in maniera più scomposta da quando, finalmente è arrivato (anche) un giudice ad affermare che molti dei fondi fluiti nelle casse dell’associazione “antimafia” Riferimenti-Gerbera Gialla sono stati sperperati dalla sua presidente per scopi che nulla hanno a che fare con i dichiarati propositi dell’associazione. Il Corriere della Calabria aveva fiutato la pista circa due anni fa e il 25 febbraio del 2016 ha pubblicato un’inchiesta, costata alla redazione anni di fango, di pesanti allusioni e di quelle che spesso sembravano velate minacce formulate dalla Musella all’indirizzo di chi ha fatto semplicemente il proprio lavoro.
Se all’epoca la presidente dell’associazione Riferimenti sperasse in miopie o autoconferite impunità, non è dato sapere e in ogni caso ha fatto male i calcoli. Nel corso della sua storia il Corriere della Calabria ha ampiamente dimostrato devozione solo per fatti e notizie. Il materiale dell’associazione presieduta dalla Musella è stato studiato, analizzato, valorizzato e messo a disposizione dei lettori. Lo abbiamo fatto con correttezza, nel rispetto del diritto e del dovere di cronaca. E lei, invece, che pure si è sempre circondata di scodinzolanti giornalisti, come ha reagito? Querelando la nostra Alessia Candito e il suo direttore. Questi sono stati indagati, interrogati, invitati a produrre fatti e documenti. Davanti al pm non hanno invocato il diritto di non rispondere e non hanno riversato sui social paure e frustrazioni. Si sono difesi. Quella improvvida querela è finita come non poteva che finire: i querelati assolti, la querelante indagata per calunnia. È una delle cose che oggi la Musella seguita a nascondere: lei ha calunniato una giornalista che già di suo era sovraesposta in quella Reggio dove l’antimafia della famiglia Musella prendeva soldi, distribuiva targhe, pensava al famiglio, organizzava trasferte e lottava contro le cosche sulle piste innevate di Folgaria o tra gli incantevoli tramonti di Positano.
Il 16 di novembre Adriana Musella comparirà davanti al gup di Reggio per rispondere di calunnia che, essendo un reato contro la giustizia, si persegue d’ufficio. Alessia e il Corriere saranno parti offese e si costituiranno parti civili. Non metteranno nelle loro tasche i risarcimenti ma li devolveranno per aiutare chi la lotta alla mafia la fa sul serio e di tasca propria.
Avevamo taciuto questo aspetto della vicenda ma visto che la signora Musella si agita è giusto impedirle di continuare a frodare la buona fede dei pochi che ancora le danno credito.
Nasce da quella inchiesta giornalistica e da quella improvvida querela anche il fascicolo aperto dal procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni e dal pm Sara Amerio. I finanzieri hanno esaminato transazioni bancarie, hanno peregrinato fra gli infiniti ristoranti frequentati da Musella e dalla sua famiglia, hanno mandato i colleghi di diverse compagnie a verificare gli hotel in cui la presidente e i suoi ospiti hanno soggiornato, scoprendo spesso che le camere occupate non servivano per riposare dopo convegni e dibattiti ma per brevi o lunghe vacanze, hanno dovuto prendere atto di acquisti ingiustificabili e insensati, hanno sentito testimoni e hanno scoperto persino che erano stati debitamente istruiti dall’indagata prima di essere interrogati. Alla fine della lunga indagine, cristallizzata in corpose e puntuali informative, hanno messo insieme un quadro che conferma quanto anticipato dal Corriere della Calabria. Anzi lo arricchisce di nuove e devastanti scoperte.
Alla Musella è stata offerta più volte la possibilità di spiegare. Non ha fornito elementi utili per una ricostruzione alternativa o ha scelto di non rispondere, promettendo future delucidazioni che ai magistrati non sono mai arrivate. Con chi gliene offra occasione invece, la presidente di Riferimenti non esita a lagnarsi per presunte «malvagità», «veleno» e «violenza» nei suoi confronti, alternando dichiarazioni affrante a velate minacce.
Ma il provvedimento del gip parla chiaro. La prescrizione e i limiti temporali di applicabilità della legge sul sequestro per equivalente per i reati di malversazione (la norma è stata introdotta nel 2013 e non è retroattiva) hanno ridotto l’entità dei beni sequestrabili. Ma la ricostruzione accusatoria messa insieme dalla procura ha passato – intatta – il vaglio del giudice.
Si dia una calmata, dunque, l’imputata Musella. Provi invece a tradurre le sue “minacce” in fatti concreti. A cominciare dalla perennemente annunciata conferenza stampa che mai ha inteso tenere. La convochi, accolga la sfida della trasparenza. Avrà modo di difendersi e di chiarire. Avrà modo anche di spiegare tante cose che da tempo vorremmo chiederle: che ne pensa dei collaboratori di giustizia? Giacomo Ubaldo Lauro, che per primo parlò di eversione mafiosa e di massomafia, lo ritiene credibile? E delle sentenze passate in cosa giudicata grazie alla testimonianza di Lauro, cosa pensa Adriana Musella? Ha mai letto la sentenza per la strage di Gioia Tauro, oppure quelle poverette morte sul treno Freccia del Sud, che una bomba fece deragliare, sono figlie di un Dio minore? E prima di scoprire la vocazione antimafia, che professione svolgeva? Dove lavorava? Quale concorso ha superato?
Facile invocare il diritto alla privacy quando si è oggetto di indagini. Ma non è forse su una alterata ricostruzione del proprio privato che la signora Musella ha costruito la sua immagine pubblica? Sul resto, delle sue esternazioni mediatiche, senza contraddittorio, sui magistrati che farebbero carriera grazie agli show televisivi e lucrando sul giustizialismo imperante, non tocca a noi rispondere. Potrebbe farlo il presidente del Senato ed ex procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso. O forse si riferisce proprio a lui la signora Musella? Ciò fosse, sarebbe quantomeno strano, ci era sembrato di capire che i due andassero fin troppo d’accordo.

Tags: riferimenti, reggio calabria, antimafia, fondi pubblici

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