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Caso Musella, ora intervenga la magistratura

Ci riferiscono di un agitarsi scomposto da parte della signora Adriana Musella che, in nome di un impegno antimafia affidato a finanziamenti pubblici a pioggia, come ormai è uso dell’antimafia…

Ci riferiscono di un agitarsi scomposto da parte della signora Adriana Musella che, in nome di un impegno antimafia affidato a finanziamenti pubblici a pioggia, come ormai è uso dell’antimafia che, da sempre, indichiamo come “danzante e saltellante”, ritiene di essere al di sopra di tutto e di tutti perché “vittima di mafia”.
Non accettiamo lezioni da chi ostenta senza pudore i propri e gli altrui morti, spesso utilizzandoli per delegittimare pezzi di questo Stato che la lotta alla mafia l’hanno condotta con i fatti, sacrificando carriere, immolando affetti personali, affrontando quotidiane insidie.
Non intendiamo entrare in questa polemica, per cui ci fermiamo qui. La gente conosce fatti e storie, sa di persone e intrecci politici, sa chi sono i massoni di Reggio e sa chi forniva l’esplosivo per le bombe ai treni. Sa come e perché è stato ucciso Vico Ligato. E sa come e perché si è “suicidato” il notaio Marrapodi.
Pasolinianamente sa, anche se in qualche caso non ha le prove.
Potremmo agevolmente entrare nel merito e smontare rigo per rigo, parola per parola, le millanterie e le falsità che circolano in queste ore. La legge, invece di predicarla nelle scuole, che sarebbe cosa da delegare ai docenti e non agli sgrammaticati del parentame, va applicata nel quotidiano e va, innanzitutto, conosciuta.
Il danaro pubblico è diverso dal denaro proprio e per questo va usato secondo precise regole. Chi le viola commette un reato. Non vale solo per il Museo della ‘ndrangheta o per le donne di San Luca.
La pregevole inchiesta giornalistica di Alessia Candito nasce da questo. Nessuno ha rubato niente, nessuno ha sottratto alcunché, nessuno intende delegittimare anche perché certi personaggi si delegittimano da soli.
Si vuole un confronto pubblico? Ci siamo. Invece si preferisce annunciare conferenze stampa che poi vengono disdette, anticipare comunicati che poi non vengono spediti.
Un agitarsi comprensibile ma, ripetiamo, scomposto.
Un agitarsi che ora sta tracimando nella calunnia e questo non lo accettiamo più.
Questo non è più tollerabile, anche perché se c’è chi oggi è sovraesposto in Calabria, a parte quanti istituzionalmente lo sono, si chiama, giusto per dare qualche nome, Bentivoglio o si chiama Rettura, si chiama Panizza o si chiama De Masi.
Si chiama Alessia Candito, che mentre gli altri inscenano marce floreali a pagamento o “lottano” le cosche sulla costiera amalfitana o sulle piste innevate, scopre e denuncia il ritorno dei Tegano nel controllo dei lidi comunali di Reggio Calabria. Scopre e denuncia il terzo livello del riciclaggio in Libano e negli Emirati. Scopre e denuncia il marcio che condiziona la sanità reggina. Giusto per dirne qualcuna.
Noi stiamo con Alessia e non certo e non solo perché Alessia è una di noi.
Fin qui lo abbiamo fatto senza gridarlo all’esterno, perché, appunto, dotati di quel pudore che altri non hanno mai avuto.
Adesso lo dichiariamo pubblicamente, chiedendo anche ad altri di farlo. Cominciando dall’Ordine dei giornalisti e finendo alla magistratura, della quale chiediamo formalmente l’intervento perché faccia chiarezza sulle troppe scomposte cose dette e fatte in questi giorni.

 

Tags: riferimenti, reggio calabria, antimafia, fondi pubblici

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