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CASA DELLA LEGALITA' E DELLA CULTURA - Onlus
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Ogni familiare dei mafiosi puo' far implodere dall'interno l'Organizzazione...

Anche chi è nato o cresciuto in una famiglia di mafia può scegliere di uscirne, può scegliere la dignità umana
Chi nasce e cresce in una famiglia di mafia assume inesorabilmente la cultura propria di quel contesto. Sono rari i casi in cui vi è un rigetto e, quindi, la scelta della Dignità e Libertà propria che passa dell'uscire da quel circuito mentale, prima ancora che di comportamento...

 

Alcuni anni fa ricordo l'incontro con una bambina, di una famiglia di mafia, impiantata al nord da decenni. Quella bambina aveva occhi pieni di lacrime che non riuscivamo ad uscire quando ci ha chiesto conferma di ciò che si diceva su quella sua famiglia... Una conferma che si faceva fatica a spiegarle, perché davanti si aveva una bambina che già sapeva, ma che avrebbe voluto che quello fosse solo un incubo... E' difficile raccontare una realtà cruda ad una bambina. Questa voleva capire, voleva quella conferma che non avrebbe, al contempo, mai voluto avere...

E non è più facile incontrare chi da quella realtà, che materialmente tutto ti garantisce, ha scelto di uscire e di denunciarla. Non è facile perché si è consapevoli che il percorso non è facile, perché anche nei settori di controllo vi sono soggetti legati all'altra parte... perché anche il sistema di protezione non funziona sempre con efficacia... perché, soprattutto al nord, si è voluto e si vuole ancora ignorare di prendere atto che la mafia è qui e ci ha colonizzati, affermando sempre di più non solo la propria rete di potere, ma anche quella cappa di omertà e di intimidazione che può rendere la vita impossibile a chi sceglie di combatterla...

Anche incontrare chi ha scelto da ragazzo di dissociarsi da quella cultura e dalla pratica criminale che coinvolge tutti coloro che si ha intorno, dai genitori, ai fratelli, al parenti più stretti, non è facile. E non lo è perché questa persona, che nel frattempo si è costruito una vita con la sua nuova famiglia, ne ha subite di tutti i colori... e non solo e soltanto da quel nucleo familiare da cui si è staccato per non essere partecipe di quella cultura e pratica mafiosa, ma soprattutto dalla società, dalla comunità che ha intorno... I settori di controllo che per quieto vivere o complicità quasi lo deridevano, così come quei semplici cittadini lo isolavano come avesse la peste, per non inimicarsi i potenti boss e scagnozzi vari.

Quando incontri chi ha scelto di non starci, in qualunque dei modi di cui si è parlato, incontri prima di tutto la loro umanità. Una dignità e spirito di libertà che è difficile incontrare anche nella cosiddetta "società civile". Una radicata determinazione ad affrontare le ferite più dure, quelle che derivano dalle costanti e pesanti azioni di intimidazioni, di denigrazione ed isolamento che vengono messe in atto...
Quando incontri chi ha scelto di rompere con le famiglie mafiose in cui è nato, o in cui è cresciuto, ho incontrato il vero onore, quello della responsabilità delle scelte personali e del vivere nel rispetto degli altri, persone eguali e con gli stessi Diritti... quello di chi ha dovuto essere capace di cadere e rialzarsi, una, dieci e mille volte, nell'affrontare non solo i costanti colpi bassi, ma anche tutte le normali difficoltà ed i sacrifici che, per chi ha fatto quella scelta di onestà, si moltiplicano... Perché, quasi sempre, in questo Nord tanto civile, quando rinunci ai soldi facili sei considerato un pazzo, così come pazzo sei considerato se denunci la mafia.

Ecco che quando si incrocia questa umanità, che ha scelto di "rompere" con quella cultura e pratica mafiosa, ti senti ancora più responsabile di non fare abbastanza... ed allora capisci che bisogna andare avanti, costi quel costi, anche per far sì che quelle lacrime loro, esternazione delle ferite che portano dentro di colpe che non hanno, possano essere asciugate dalla Giustizia, ma, ancor prima, da una comunità che deve avere il coraggio di abbracciali e sostenerli, anziché isolarli o ignorarli. Non è solo questione di "Legge", anzi qui la Legge non c'entra nulla... E' questione di affermazione di una comunità che rigetta le intimidazioni e la cultura omertosa e sceglie di sostenere il cammino di chi ha imboccato la strada giusta in cui vivere e crescere i propri figli.

Ma queste persone sono troppo poche, ancora... E, invece, troppo spesso, come anche in questi giorni, dopo le rivelazioni delle riunioni dei boss mimetizzate dietro cerimonie come un battesimo o un funerale, a Genova o Savona, città del nord, c'è qualcuno che dice che si "disonorano" persone "perbene"... Ad affermarlo, quasi sempre, sono esclusivamente persone che da quell'ambiente sono venute, che in quelle famiglie sono cresciute, o che da quell'ambiente hanno avuto quei favori che devono rendere a vita... perché la mafia pretente questo, vuole la fedeltà assoluta e cieca.

Queste persone devono capire che la strada del disonore, della vergogna e dell'infamia è proprio quella di quelle famiglie di mafia, che piegano la dignità e la libertà di chiunque... che uccidono non solo sparando (anche se ancora lo fanno), ma soprattutto uccidono soffocando territorio ed economia, colpendo con la denigrazione e l'isolamento chi non si piega a loro. Queste persone che difendono l'indifendibile, perché la loro formazione culturale è stata forgiata in famiglie mafiose, devono trovare la forza di capire e cambiare strada, perché è possibile. E perché lo capiscano bisogna dargli un aiuto esterno, che dia quello scrollone necessario ad aprire i loro occhi e guardare la realtà dei fatti. Devono quindi sentire il disprezzo sociale per quella cultura e pratica mafiosa... devono percepire l'attenzione e l'indice puntato... ascoltare e leggere quei nomi una e mille volte... finché non capiranno che "le corti" ai loro nonni, padri, madri, o fratelli e sorelle, non sono per rispetto di persone "perbene", ma esistono per paura, per sudditanza e opportunismo.

Come abbiamo detto più volte, la mafia non è solo una questione penale, che compete all'azione repressiva dello Stato, ma è una questione che deve essere affrontata socialmente, dalla comunità... dai cittadini. La forza delle mafie - quella stessa forza che permette di inculcare alle loro nuove generazioni la cultura mafiosa come norma - si fonda sul consenso sociale e sull'omertà, ed è qui quindi che è dovere primario di ciascun cittadino intervenire, negando queste fondamenta!

Quanti sono nati o cresciuti in una famiglia di mafia, e non vogliono che il proprio cognome sia richiamato alle attenzioni per il disonore e l'infamia mafiosa, possono ripulire davvero quel cognome, uscendo da quei nuclei familiari e denunciandoli all'opinione pubblica ed allo Stato... Il legame di sangue non deve significare o giustificare l'accettazione fatalistica di un "appartenenza". 

Un cognome ed uno stato di famiglia "mafioso" non significa schiavitù, perché ciascuno può scegliere di uscire, di riscattare quel nome e contribuire a colpire quel cancro chiamato mafia.

Chi vuole "staccarsi" da quei nuclei familiari che si sono fatti cosca, se saprà compiere il passo di rinuncia dei benefici a cui quell'appartenenza lo ha abituato, riuscirà a riacquistare non solo il rispetto sociale vero - non quello imposto dalla forza di intimidazione o dalla complicità e contiguità -, e sentirà soprattutto una liberazione della propria coscienza... Non solo potrà dimostrare che quel proprio nome non è sinonimo di mafia, ma potrà ripulirlo, non attraverso quelle mimetizzazioni tipicamente mafiose, bensì dando il proprio contributo di conoscenza di quelle realtà criminali (anche se mascherate da abiti candeggiati) ai reparti investigativi ed alla magistratura per colpire al cuore i sodalizi mafiosi.

Ecco quindi l'invito a chi, in questi giorni, vive un senso di "risentimento" perché i nomi delle proprie famiglie sono finiti, anche in Liguria, in prima pagina: non dovete provate risentimento verso chi nomina quei nomi di boss e sodali delle cosche, ma dovete provarlo per quei boss e quei sodali... per gli affari criminali (anche se mascherati da "imperi" imprenditoriali o ben accolti nei salotti bene). Salvate la vostra coscienza e salvate quella delle nuove e future generazioni delle vostre stesse famiglie... uscite e denunciate, raccontate tutto ciò che sapete, rifiutate di continuare a vivere nell'abuso e nella mistificazione, nella menzogna e nella prepotenza. Voi per primi potete staccare la spina e chiudere con il disonore e l'infamia che rappresentano quei nomi, quei soggetti, quelle pratiche mafiose.

Ormai, il muro di omertà è stato definitivamente incrinato e non vi sarà più scampo per i mafiosi, anche in questa terra di Liguria, da troppi decenni succursale di Cosa Nostra e colonizzata della 'Ndrangheta. Noi, nel nostro piccolo, siamo la dimostrazione che è possibile combatterli, affrontarli, indicarli e denunciarli, senza che loro possano far nulla per fermarci... Nel nostro piccolo abbiamo reso evidente che la forza di intimidazione delle mafie è direttamente proporzionale alla paura che si ha di esse... e, quindi, se non si cede alla paura ci si sottrae al loro controllo!

La partita può essere chiusa... i mafiosi possono essere colpiti, nelle loro libertà personali e nei loro patrimoni... ma ancor prima possono essere distrutti dalla comunità che lì può isolare...
A questa sconfitta possono dare il proprio contributo quanti, all'interno di quelle famiglie di mafia, vogliono scegliere di cambiare strada, vogliono riscattare il proprio nome dall'infamia e dal disonore, quando non anche del sangue, con cui è stato intrisi dai mafiosi, loro stretti parenti. Non si sceglie in che famiglia si nasce, ma si può scegliere se vivere in una cultura e pratica che nega la dignità e libertà degli altri, ostinandosi nel difendere quel marcio che sono i mafiosi, oppure se vivere con dignità e onore vero, quello di una vita che rispetta gli altri come eguali e come parte della stessa comunità, con Diritti inalienabili e l'assaporare un cammino di vita che si costruisce giorno per giorno, potendo dormire sereni e potendosi guardare allo specchio senza provare vergogna.

Quanti vivono oggi in famiglie di mafia e sentono imbarazzo per questa appartenenza, compiano quindi una scelta netta, inequivocabile. Prendano esempio da quanti già l'hanno compiuta ed oggi possono, ad esempio, incrociare lo sguardo dei propri figli sentendosi riempire il cuore della gioia di avergli dato la cosa più importante: una vita fondata sul rispetto degli altri e della dignità umana! 
Possono scegliere, quindi, di costruirsi una vita con rapporti veri, fondati sulla vera amicizia, frutto di ciò che si è e non quindi dell'opportunismo, della sudditanza o, ancora oggi, di legami dettati dalle esigenze di alleanze ed interessi tra cosche. Quindi: uscite e denunciate, liberate la vostra coscienza e quindi il vostro futuro. Se lo vorrete fare, noi non vi lasceremo soli... e lo Stato è pronto... (perché ricordatevi sempre che se è vero, ed è vero, che anche all'interno delle Forze dell'Ordine e della Magistratura vi sono degli infedeli, "amici" o "a libro paga" dei vostri parenti mafiosi, questi sono un infima minoranza rispetto a quanti compiono il proprio dovere ogni giorno e senza mai piegarsi a condizionamenti, ricatti o intimidazioni).



11.04.2011
riceviamo e pubblichiamo con la doverosa risposta

 

Gentile Signor Christian Abbondanza
mi chiamo Francesca Terragni e sono la figlia di Maria Rampino,quindi nipote di mio nonno Antonio Rampino,piu volte nominato sia da Lei che dal Secolo xix indicandolo come il maggior esponente del 'ndrangheta in Liguria.Mio nonno buonanima è deceduto il 10 Febbraio 2008,mi ha cresciuto quest'uomo e so io che uomo era.
Non nominiamo i morti perfavore perchè mentre voi fate notizia noi vediamo uno degli uomini piu' presenti della nostra vita morire un'altra volta.
Ho letto il suo articolo sul suo sito "Ogni familiare puo' far implodere dall'interno l'organizzazione..."
Io il disprezzo non lo sento e non lo sentirò mai e lamia coscenza è apposto cosi.Grazie per i suoi consigli ma so io come "sentirmi" in queste circostanze.
Distinti saluti
Francesca Terragni


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Sig.ra Francesca Terragni,
lei è nipote di Antonio RAMPINO - ‘nToni U RAMPINU, nelle intercettazioni degli 'ndranghetisti - e quindi è una dei discendenti ed erede di quel signore che era a capo della 'ndrangheta in Liguria.
Il fatto che lei, di quella famiglia RAMPINO che è stata a capo della 'Ndrangheta a Genova ed in Liguria (sino alla sua morte nel 2008, quando venne passato il timone al boss Mimmo GANGEMI, arrestato l'estate scorsa con l'Operazione IL CRIMINE), non provi disprezzo e non scelga di condannare moralmente quel che era suo nonno, così come Franco e gli altri esponenti del nucleo familiare RAMPINO, parte integrante del vertice e dell'organizzazione 'ndranghetista, è certamente una scelta legittima, ma al contempo grave. Questo atteggiamento di difesa della mafiosità (non ventilata ma concreta) Le impedisce di ripulire, da qui al futuro, l'onore di quel che cognome, RAMPINO, che è macchiato da uno dei più atroci, infamanti e inumani reati: la mafia.
Vede, non sono io o la Casa della Legalità, od anche i giornalisti de Il Secolo XIX, che andiamo a disonorare o offendere il suo nonno capo mafia, ma è la sua apparteneza mafiosa, la sua collocazione di vertice nell'organizzazione mafiosa, le sue responsabilità piene dell'attività delittuosa del sodalizio 'ndranghetista, che infangano la sua memoria e la sua famiglia.
Il fatto che Lei difenda questa realtà, giudicandola non degna di disprezzo, è sintomo preoccupante... perché Lei ed i suoi familiari potreste, in un attimo, disconoscere quell'appartenenza mafiosa, ad esempio, non solo con una condanna morale, ma anche con la rinuncia ad ogni beneficio, come quello economico e di beni, derivante da quell'Antonio RAMPINO, e conseguente all'attività mafiosa dello stesso e del suo nucleo familiare.

Non voglio farla troppo lunga, e quindi le cito solo uno, l'ultimo, degli atti ufficiali in cui la responsabilità di quella, per lei, buonanima e del suo nucleo familiare, è scritta inequivocabilmente. Si tratta della Relazione della Direzionale Nazionale Antimafia, del dicembre scorso, ed in questa si legge:
"... La rivitalizzazione di quanto già accertato nella precedente indagine trova spunto dalle attività tecniche eseguite nell'ambito del proc. pen. n. 1389/08 R.G.N.R. DDA Reggio Calabria.
Le indagini di quell'ufficio infatti permettevano di certificare l'attuale struttura organizzativa della ‘Ndrangheta provandone parallelamente la capillarità in ambito nazionale e non, con particolare interesse in alcune regioni del nord Italia tra le quali la Liguria.
Si legge nel provvedimento custodiale:
All'esito dell'indagine "Crimine" si accertava l'esistenza in Genova e provincia, ma non solo, di almeno quattro "locali" di ndrangeta: uno operante in Genova e facente capo al defunto RAMPINO Antonio, un altro attivo nella zona di Levante e più precisamente in Lavagna (GE), nonché uno in Ventimiglia (IM) ed un quarto in Sarzana (SP).
L'assetto dell'organizzazione indagata risulta peraltro abbastanza variegato e sostanzialmente riferibile alle seguenti componenti:
- un gruppo di vertice, riconducibile a RAMPINO Antonio ed al suo contesto familiare, collegato ad altre realtà criminali;
(...)".

Quindi quanto da noi riportato, così come quanto pubblicato da Il Secolo XIX, in merito ad Antonio RAMPINO, così come al di questi fratello, Franco RAMPINO, e più in generale al loro contesto familiare, non è solo esatto, ma dovuto, perché la verità dei fatti deve essere conosciuta ed affrontata... Anche perché, non dimentichiamolo, quel nucleo familiare, RAMPINO, risulta ancora attivo... così come ancora sono saldi i legami ed i contatti di questo con gli esponenti delle altre famiglie mafiose attive e radicate da tempo in Liguria, così come nel sud-Piemonte.

Quindi la questione, che non ho ben capito dalla sua breve lettera, è: a lei va bene così, oppure condanna questa appartenza alla 'ndrangheta di Antonio RAMPINO (deceduto, come anche Franco) e del suo nucleo familiare (ancora attivo)? E' in grado di discernere la valutazione di un rapporto personale dalle responsabilità gravissime di suo nonno e della sua famiglia, oppure non le interessa che fosse parte di un organizzazione criminale responsabile di delitti indicibili? Riesce a vivere serenamente, con la sua coscienza, sapendo che il patrimonio lasciato dall'Antonio RAMPINO è intriso non solo di delitti, ma anche di quel sangue che la 'ndrangheta ha seminato?


Christian Abbondanza
 

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Sign. Abbondanza rispondo alla sua e mail di risposta.
Gli inserti che lei mi ha scritto riguardo la Relazione della Direzione Nazionale Antimafia li ho letti e riletti mille volte e ne conosco perfettamente il contenuto. Quello che io volevo chiederLe gliel'ho chiesto nella mia iniziale e-mail, cioè di non nominare piu' persone a me molto care, entrambe decedute da un pò e tengo a precisare che ne io nè mia madre e mia sorella siamo eredi di beni ottenuti con la mafia, quello che abbiamo ce lo siamo costruiti da sole legalmente, quindi vivo serenamente con la mia coscenza. Non condanno neanche la mia appartenenza alla mia famiglia. Quello che io moralmente penso dell'attività criminale di mio nonno e altri componenti sono valutazioni che tengo per me. Comunque valutazioni incondizionalbili. Non proverò mai disprezzo per mio nonno. Capisco perfettamente il suo discorso ma con queste persone ci sono cresciuta e non disconoscero' mai la mie origini....mai. Che lei lo ritenga preoccupante è un suo pensiero.

Ps: Mio nonno buonanima ha passato 22 anni in carcere consecutivi per espiare semmai le sue colpe


Francesca Terragni


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Prendo atto della sua risposta e del fatto che non neghi le responsabilità di Antonio RAMPINO e del suo nucleo familiare all'interno della struttura di vertice della 'Ndrangheta. Quindi non torno su quanto sinteticamente già espresso in merito.

Purtroppo non posso/possiamo soddisfare la sua richiesta di non nominare lui, così come altri, per l'attività che questi hanno svolto in seno all'organizzazione 'ndraghetista, con ruolo apicale, nella nostra regione e non solo.

Se lei dice che è consapevole di ciò che faceva il suo nonno - quindi di tutto l'escursus criminale da questo compiuto dai tempi dello sfruttamento della prostituzione nel centro storico sino ad arrivare alle attività di riciclaggio e, quindi, alla acquisizione del ruolo massimo di responsabilità nella gestione della 'Ndrangheta in Liguria - comprenderà benissimo che tutto ciò non può essere ignorato, dimenticato o omesso. Inoltre, il patrimonio illecitamente accumulato da Franco RAMPINO (per la cui divisione dell'eredità, da quel abbiamo saputo, vi è stato uno scontro pesante tra i parenti) e da Antonio RAMPINO, anche se passato per donazioni o eredità, resta un patrimonio sporco e infangato...

Se lei dice che è in pace con la sua coscienza, così come sua sorella e sua madre, allora significa che avete accettato tutto ciò è stato Antonio RAMPINO, e quindi non deve sentire imbarazzo quando questo viene ricordato per ciò che ha fatto e per ciò di cui era responsabile.

Io le chiedo solo una cosa: provi ad incrociare lo sguardo di una delle tante vittime della 'ndrangheta, di chi è sopravvisuto ad un morto ammazzato, di chi ha subito un rapimento, di chi ha visto la sua vita ed umanità annientata dalla droga o dallo sfruttamento... da chi si è visto ridurre sul lastrico ed al fallimento, con quello che questo comporta per il conseguente sgretolamento della propria sfera familiare... Provi ad incrociarlo e fissarlo negli occhi, senza mai abbassare o spostare lo sguardo... sono certo che allora quel "non disconoscerò mai le mie origine", diventerà più labile e sarà lei stessa a metterlo in discussione.

Christian Abbondanza


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