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Giochi di Palazzo... la mafia gode, nel "grande" nord

Il silenzio dei Palazzi rafforza l'omertàIl nord è quel territorio che ha conosciuto marginalmente la mafia che fa scorrere il sangue e così, quanti, chi ingenuamente e chi colpevolmente, hanno sempre sostenuto che la mafia fosse un problema del meridione, non hanno fatto altro che agevolare il desiderato delle cosche mafiose ed i loro affari. Nel nord hanno sempre sparato poco perché la mafia spara quando è in difficoltà e quando deve dare segnali. Al nord sono maggiori gli "incidenti" o fatti di sangue che, abilmente, vengono ricondotti ad altro... Le mafie per i loro affari amano restare nell'ombra e nel nord hanno grandi affari da compiere.

Quasi il 40% dell'economia nazionale è in mano alla criminalità mafiosa e finanziaria. Pensiamo forse che questa vada a reinvestirsi al sud? Suvvia non facciamo gli ingenui... i capitali sporchi ormai viaggiano in Europa, nei paradisi fiscali e poi tornano al nord nelle grandi speculazioni, nelle società quotate in borsa o nelle fitte reti societarie che hanno infiltrato gli appalti (e quindi le pubbliche amministrazioni, nella parte politica ed in quella amministrativa) nelle regioni del centro e del nord e, con queste "insospettabili" imprese delle regioni ricche si vincono i grandi appalti e le concessioni pubbliche anche al sud.


Questo è da tempo. Tutto questo è sempre più evidente dai rapporti delle attività investigative e giudiziarie, anche nell'ultima relazione della Procura Nazionale Antimafia. Ma sembra che non lo si voglia leggere. Sembra che chi è nei Palazzi, anche se lo sa, sia tenuto ad un riserbo d'ordinanza. Negare e negare, sempre e comunque, anche davanti a fatti accertati e conclamati. Così nella Lombardia, in Liguria, nel Veneto come in Toscana, in Umbria come in Piemonte o in Friuli, nella Val d'Aosta come nel Trentino, e così via...

Nelle regioni del Nord e del Centro le mafie hanno costruito un radicamento in decenni di attività ignorata colpevolmente dai Palazzi. In alcune aree hanno riprodotto fedelmente la comunità e le caratteristiche dei paesi delle loro terre d'origine, con, quindi, l'esportazione di quelle dinamiche che ne garantiscono una mimetizzazione perfetta e, al contempo, capaci di rendere evidenti chi fossero i punti di riferimento delle diverse cosche a quanti era opportuno e necessario renderlo evidente.

In questo percorso, oggi, abbiamo la seconda generazione delle mafie che opera quasi indisturbata perché legatasi a pezzi del Palazzo o fattasi essa stessa parte del Palazzo. Da un lato abbiamo i boss folkloristici che continuano a garantire, quando serve, il controllo di pezzi del territorio, finalizzato non solo alle attività illecite conclamate come usura, estorsione, sfruttamento della prostituzione o spaccio, e dall'altro lato abbiamo i "colletti bianchi", i signori candeggiati, mafiosi di nuova generazione, istruiti e dediti al riciclaggio attraverso infiltrazione nell'economia legale, dall'infiltrazione nel tessuto commerciale e imprenditoriale all'infiltrazione e controllo degli appalti e delle concessioni pubbliche, dall'attività speculativa sul mercato immobiliare a quella delle cementificazioni. Il tutto condito dalla capacità di controllare sempre più ampie fette di voti da immettere sul "mercato" del voto di scambio che, con la corruzione, rappresenta il fulcro del compromesso e della contiguità, e quindi della complicità, tra mafia e politica.

Questa è la drammatica realtà che piega l'economia e quindi lo sviluppo non solo più del sud, ma del "grande" nord. Prendiamo l'esempio della Liguria. Qui al grande business dei rifiuti e delle bonifiche ambientali, seguite alla dismissioni delle grandi industrie, si è fatto strada quello del mattone. Non solo più iniziative speculative tese ad acquisire con i soldi sporchi immobili e attività commerciali, attraverso un controllo del territorio che ha permesso (e permette) di fra crollare a comando il valore di interi quartieri per acquistare con il denaro sporco e poi rivendere a prezzo pieno, quanto non necessario per garantirsi gli spazi per, ad esempio, gestione della tratta e della prostituzione, gestione dell'immigrazione clandestina e del caporalato, gestione di luoghi sicuri per latitanze od altro. Ora è il tempo delle grandi cementificazioni del territorio e del mare che trovano come già denunciato da diverse autorevoli sedi, l'accondiscendenza e la protezione trasversale della politica che amministra il territorio, dal Comune ai vertici della Regione, passando per la Provincia ed ogni altro Ufficio che avrebbe il dovere di garantire e tutelare l'interesse pubblico e la correttezza delle procedure. Abbiamo un infiltrazione nel tessuto imprenditoriale e commerciale, come anche di circoli cosiddetti "ricreativi", che necessita di licenze e autorizzazioni amministrative e che ha visto il rafforzarsi, anche qui, come nel settore degli appalti, di un monopolio plateale di alcune famiglie mafiose.

Tutto questo nega lo sviluppo e la libertà delle persone che vogliano investire e aprirsi una propria attività sul mercato, non solo quindi la libertà in quei territori abbandonati al controllo mafioso, in un accordo mai scritto ma perseverato che garantisce una pax... un equilibrio... che lascia scorrere gli affari illeciti in cambio di voti, soldi sporchi che circolano e di una riduzione di atti efferati di sangue che potrebbero "turbare" l'opinione pubblica. Si è entrati in un perverso e diabolico patto con il diavolo che si rafforza ogni qualvolta nei Palazzi si nega esistere il problema "mafia".

Nel momento in cui non si vuole vedere quella nuova generazione delle mafie attive per il solo fatto che non ha più quel linguaggio e quell'abito con cui, il luogo comune, fa abitualmente identificare il "mafioso", allora si perde definitivamente la capacità di contrastare quel cancro che sta erodendo non solo i diritti ma anche lo sviluppo ed il territorio. Non solo. Questo atteggiamento non fa altro che rendere più complicato, quando non impossibile il lavoro dei reparti investigativi dello Stato, e quindi della magistratura. Quale cittadino che subisce andrà mai a denunciare nel momento in cui, a priori, le Autorità negano che il problema esista? Nessuno! Quale cittadino che è a conoscenza di fatti e uomini che rappresentano l'anello di congiunzione tra i Palazzi ed il potere mafioso di nuova generazione andrà mai a denunciarlo o segnalarlo nel momento in cui uomini collusi o contigui sono ben evidenti negli Uffici di quelle Autorità e di quei soggetti che dovrebbero contrastare le presenze e l'infiltrazione mafiosa? Nessuno!

Ecco perché deve esserci il coraggio, di chi è onesto, in quei Palazzi del Potere, di ammettere che il problema esiste. Ammettendolo si rende già più difficile l'azione intimidatrice delle mafie... si spezza il velo di omertà che le protegge e si dà un segnale chiaro ai cittadini: sappiamo che esiste il problema, ma con l'aiuto di tutti quanti possono denunciare ai reparti preposti dello Stato, come la DIA, possiamo sconfiggere queste infiltrazioni. La lotta alle mafie è fatta di segnali e questo segnale deve arrivare dai Palazzi, che devono ripulirsi da quanti in essi si sono annidati e per paura, convivenza o connivenza, si sono fatti "protettori" di quell'equilibrio scellerato che una volta rotto trascinerebbe alla fine quella nuova generazione mafiosa che campa e prospera solo grazie al silenzio ed all'omertà che circonda i propri affari e la propria ragnatela di collusione nell'economia, nella politica e tra i Palazzi dello Stato.

Anche per questo, ad esempio, serve che quanti hanno avuto la forza di denunciare, come i "testimoni di giustizia", come ad esempio Pino Masciari, siano protetti effettivamente dallo Stato e non invece mistrattati o abbandonati. Serve che vengano potenziati i reparti investigativi dello Stato, come ad esempio la DIA, in quel centro e nord Italia, dove le imprese utili all'infiltrazione negli appalti e nelle grandi opere, come nel tessuto commerciale e nelle operazioni speculative, hanno trovato sede sicura. Serve che lo Stato riconquisti fiducia... lo Stato tutto, attenzione, anche nei settori giudiziari. Serve invertire la rotta, insomma, e serve farlo subito, con segnali chiari, tangibili. Uno di questi potrebbe essere che la Commissione Antimafia inizi a svolgere le proprie audizioni dalle città del Nord, chiamando a dire ciò che si sa, non solo le Istituzioni, ma anche quei soggetti che a livello economico, sociale e civile vivono e monitorizzano determinati fenomeni. Serve il segnale che le forze sane del Paese, indipendentemente dagli schieramenti politici, si uniscano un una lotta che non può essere solo giudiziaria, ma, prima di tutto, deve essere civile e sociale. Alla rete trasversale del potere mafioso, dal sud al nord, deve contrapporsi una rete trasversale della parte sana della società, ben più numerosa e forte, nel momento in cui si convince di potercela fare.

A Milano, per esempio, si fa un gran parlare degli appetiti mafiosi sull'expo del 2015 e qualcuno, anche realtà che da tempo sono divenute "colossi" dell'antimafia, hanno proposto l'istituzione di una Commissione d'Inchiesta del Consiglio Comunale. Tale proposta, concretizzata, sarebbe ridicola e fuorviante. Intanto perché le mafie non hanno legami solo con funzionari e amministratori di un colore politico, bensì hanno tessuto rapporti e collusioni con segmenti della politica in ogni partito, e quindi il compagno di banco e di partito del colluso non farà mai il delatore o, quanto meno, non denuncerebbe nè ostacolerebbe concretamente quegli episodi di collusione e complicità che portano voti e finanziamenti alle casse del partito e della sua coalizione, se non a Milano, nel suo hinterland o in un'altra regione. Se proprio una Commissione d'inchiesta la si deve fare, allora la si faccia in modo che sia utile e efficace. Venga costituita non tra consiglieri o amministratori, ma chiamando un ristretto gruppo di persone che abbiano dimostrato concretamente, e non a parole, di contrastare e denunciare episodi di illegalità e mafia, come ad esempio potrebbero essere Elio Veltri, Pino Arlacchi o ex magistrati come Gherardo Colombo, e dando a questi il solo compito di acquisire informazioni, raccogliere segnalazioni e verificare procedure e atti amministrativi, per poi relazionare non tanto al Consiglio Comunale, bensì alla Direzione Investigativa Antimafia ed alla Procura Nazionale Antimafia.

Per concludere. Un Prefetto, ad esempio, che conosce bene le dinamiche del potere mafioso perché proviene da una delle città più calde della Sicilia, e si ritrova in una realtà dove da decenni è conclamata la presenza e l'attività delle mafie, da Cosa Nostra alla 'Ndrangheta, dalle Camorre alle nuove mafie straniere, non può non sapere o vedere questa realtà. Se, quindi, si spinge nel dire: "Che ci sia mafia a Genova non risulta e se qualcuno sa, allora, parli", si fa di fatto scudo di quanti, lavorando nell'ombra dei Palazzi, cercano di nascondere quella realtà di radicamento ed infiltrazione che esiste ma che può anche essere sconfitta. Negare, nascondere il problema, è un pessimo segnale... Un segnale che fa pensare che siano altri che abbiano richiesto una tale dichiarazione... perché un Prefetto preparato ed attento sa osservare, sa leggere non solo i fenomeni che accadono oltre che leggere le carte ufficiali che tale presenza ed attività mafiosa evidenziano da anni, con nomi e cognomi. Quindi, se si vuole contribuire ad un cambiamento reale, alla rottura di equilibri scellerati, riconquistando la credibilità delle Istituzioni, occorre che, ad esempio, quel Prefetto parli con chiarezza e dica come stanno le cose, così che i cittadini che si invitano a denunciare, sappiano che troveranno alleati nei Palazzi, e non funzionari che li accoglieranno come fastidiosi visionari da zittire e lasciare soli.

 

Tags: mafie, nord, negazionismo, radicamento, colonizzazione

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