‘Ndrangheta stragista, giudizio immediato per Filippone e Graviano
REGGIO CALABRIA Salvo richiesta di giudizio abbreviato, dovranno presentarsi di fronte alla Corte d’assise di Reggio Calabria il prossimo 30 ottobre di fronte alla Corte d’assise di Reggio Calabria Rocco Santo...
REGGIO CALABRIA Salvo richiesta di giudizio abbreviato, dovranno presentarsi di fronte alla Corte d’assise di Reggio Calabria il prossimo 30 ottobre di fronte alla Corte d’assise di Reggio Calabria Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano, accusati di essere i mandanti degli omicidi e dei tentati omicidi dei carabinieri che negli anni Novanta hanno insanguinato Reggio Calabria. Delitti – ha svelato la Dda reggina – da ascrivere ad un più ampio contesto eversivo su cui ancora si continua a indagare. Una tesi che ha convinto il gip che per questo nel luglio scorso ha disposto l’arresto di Filippone e la contestazione di nuove accuse a Graviano, quindi il Tribunale della Libertà, che ha confermato le misure custodiali, e adesso il gip Adriana Trapani che ha disposto il giudizio immediato.
IL PREZZO DELLA STRATEGIA STRAGISTA Per il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, che ha coordinato l’indagine, l’omicidio dei carabinieri Antonio Fava e Giuseppe Garofalo, trucidati nei pressi dello svincolo di Scilla il 18 gennaio 1994, e i due agguati che nei giorni successivi sono quasi costati la vita ad altri quattro loro colleghi, Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra, feriti alla periferia sud di Reggio Calabria il 1 febbraio, e Vincenzo Pasqua e Salvo Ricciardo, rimasti miracolosamente illesi dopo l’attentato subito il 1 dicembre del ’93quegli omicidi e quegli agguati, sono stati infatti il “prezzo” pagato dalla ‘ndrangheta per partecipare alla strategia degli attentati continentali. Una lunga scia di sangue che ha insozzato l’Italia e tramite cui le mafie negli anni Novanta hanno tentato di imporre i propri interlocutori politici alla guida del Paese.
DESTABILIZZAZIONE Attentati e omicidi – ha svelato l’inchiesta ‘Ndrangheta stragista – facevano parte di un piano funzionale alla costruzione dello Stato dei clan, portato avanti dai vertici delle mafie storiche tutte, insieme a pezzi deviati dei servizi, ambienti piduisti e galassia nera. Tutti responsabili – affermano i magistrati di Reggio Calabria – di aver tentato di sovvertire l’ordine repubblicano in Italia.
LE RIUNIONI Un piano che in Calabria è stato oggetto di almeno tre riunioni, la prima al villaggio turistico Sayonara di Nicotera, controllato dal clan Mancuso di Limbadi, legato a doppio filo al potentissimo casato mafioso dei Piromalli, le altre due a Oppido Mamertina. Al tavolo, c’erano i massimi esponenti dell’epoca della ‘ndrangheta calabrese e gli “emissari” siciliani di Totò Riina. Storicamente legato ai Piromalli, storico casato di ‘ndrangheta che vanta legami con la Sicilia fin dalle prime decadi del Novecento, il boss siciliano si era rivolto a loro per “convincere” i massimi vertici delle ‘ndrine ad aderire alla strategia degli attacchi continentali.
IL PROGETTO Questo tuttavia – emerge dall’indagine della Dda reggina – non era che un aspetto parziale di un progetto ben più ampio e complesso, cui diversi attori hanno dato il proprio contributo. Insieme alle mafie, a progettare di stravolgere il volto della Repubblica c’erano la massoneria piduista, pezzi dei servizi e del circuito nero ordinovista. «I nuovi equilibri geo-politici – spiega al riguardo il gip – stavano mutando i meccanismi di un sistema in cui erano prosperate. La loro sopravvivenza era quindi legata alla necessità di impedire che quei cambiamenti travolgessero quel sistema».
LE DUE FASI Tanto i clan siciliani e calabresi, come le schegge impazzite dei servizi non avevano intenzione di perdere una spanna del potere accumulato anche grazie a referenti politici e istituzionali miopi o compiacenti. Per questo progettano e lavorano ad un piano complesso, con una strategia da attuare in due fasi. Primo, la destabilizzazione e la strategia della tensione, per creare una generica sensazione di instabilità nel Paese, utile per imporre un “governo forte”. Secondo, una «nta-nuova classe politica etero-diretta, che aveva la precipua mission di garantire `Ndrangheta, Cosa Nostra e le altre mafie», come altre e diverse forze occulte «sia paramassoniche piduiste che della destra eversiva».
LE INDAGINI CONTINUANO Proprio per questo, il processo che inizierà a breve a carico di Filippone e Graviano non è che una parte di inchiesta ben più ampia, che potrebbe – quanto meno in prospettiva – riscrivere la storia del Paese. A svelarlo è non solo il complesso materialefinito nel fascicolo delle indagini che hanno inchiodato Graviano e Filippone, ma anche il lungo elenco di capi di imputazione per cui – si legge nel decreto che dispone il giudizio – «si procede separatamente».
LE ARMI PARLANO I magistrati stanno seguendo il filo di quei mitra Mab arrivati in riva allo Stretto per firmare gli attentati ai carabinieri, poi rivendicati come “Falange armata”. Una firma che insieme alla provenienza delle armi suggerisco uno scenario ben più complesso. Secondo ipotesi investigative che oggi paiono trovare riscontro, quei mitra farebbero parte di quegli stock di armi uscite direttamente dalla fabbrica, ma senza numero di serie, finite in mano a frange nere dell’eversione, pezzi deviati dei servizi e uomini dei clan. Armi che poi avrebbero firmato delitti diversi e apparentemente slegati fra loro, come quelli commessi dalla tuttora in parte misteriosa banda della Uno bianca e probabilmente non solo.
QUESTO E’ TERRORISMO Ecco perché, tra le aggravanti contestate in quei capi di imputazione ci sono le «finalità di terrorismo e di eversione dell’ordinamento democratico» e quelle di «agevolare le attività delle organizzazioni di tipo mafioso denominate Cosa Nostra e ‘Ndrangheta che intendevano costringere lo Stato Italiano, tra gli ulteriori scopi in corso di compiuta individuazione, a rendere meno rigorosa e stringente sia la legislazione che le misure antimafia».
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